Amo i profumi per la loro natura ancestrale. Non possono fissarsi sulla pelle o ad un tessuto senza la loro base materica. Insisto su questo punto, sulle essudazioni degli alberi e delle emozioni che generano attaccamento ma anche affezione. Affectus animi, sono quei moti dell’anima cari ad Ildegarda di Bingen e alla medicina monastica. Nella mia vita sbilanciata e sbilenca, sono stata avvezza alle parole deformi, al linguaggio del volgo, alla vita racchiusa nei moduli abitativi delle case degli enti pubblici, alle cicche di sigaretta stipate nei bicchieri di vetro delle vecchie osterie.
La mia memoria olfattiva setaccia effluvi dolciastri misti ad alcool, colonie dei grandi magazzini, gin e tabacco, ciprie alla canfora.
Mio padre dormiva in un letto sfatto, senza lenzuola, si gettava sul materasso ingiallito tirando a sé una coperta di lana intrisa di polvere e cenere. Sul suo comodino si contendevano spazio decine di bicchieri pieni di cicche galleggianti nella nera acqua melmosa. Alcool, cenere e polvere, un odore inconfondibile, di morte che ci precede, di piombo sciolto tra gli effluvi della stufa al kerosene che covava l’aria stantia. Questo mix mnemonico di muffe e tabacco mi precede nella discesa ai miei inferi. Senza questa discesa, sarebbe impossibile qualsiasi spinta. Dove sono le radici c’è il nostro segreto, il nostro aroma sotterraneo e profondo.
Mi conduceva mio padre nei quartieri periferici della mia città, dove si viveva nelle case inventate. Le case inventate venivano tirate su in pochissimi giorni con lamiere, mattoni, cartoni pressati e scarti di latta. In una di queste baracche viveva la figlia del suo amico d’infanzia con la nonna.
Mio padre mi lasciò in compagnia della ragazzina che aprì un baule di cartone pressato per farmi vedere il suo prezioso tesoro.
L’abito della principessa di dispiegò nell’aria come un uccello morente. Glielo aveva cucito sua nonna per la festa scolastica del carnevale del 1978. La nonna raccontò che da giovane aveva lavorato presso un famoso atelier di Piazza di Spagna e che aveva preso parte alla cucitura collettiva dell’orlo dell’abito nero che Anita Ekeberg indossava nella famosa scena della del film La Dolce Vita, in cui si bagna dentro la Fontana di Trevi.
Nell'orlo del vestito le ragazze cucivano i loro capelli come rito di buona fortuna per un miglior destino rispetto a quello delle loro madri. Così la nonna aveva nascosto nell’abito della principessa Sissy, dei chiodi di garofano e della canfora per proteggerlo dai tarli e dall'umidità. L’abito meraviglioso suscitò in me una sorta d’invidia e repulsione olfattiva. Entro nelle vecchie case e posso sentire il passaggio di chi li ha vissute al di là della muffa che sbreccia i muri.
Vivo oggi in un borgo e muschio, calce, tufo e brace raffreddati dal gelo di certi inverni seducenti e ostili mi immettono nel Reale Assoluto. Aspiro la presenza costante della materia con cui continuo a progettare il mondo e ad abitarlo.
Oggi che il corpo di mio padre è affidato alle mie cure mi sembra poterlo salvare dal deterioramento non solo fisico ma soprattutto spirituale, cospargendo i suoi arti con olio di mandorle e macerato d’incenso.
Purifico la casa con la sua fumigazione le cui proprietà antibatteriche sono note fin dall'antichità. Gli acidi della resina inibiscono la produzione delle sostanze che stimolano le infiammazioni e bloccano la produzione degli enzimi che distruggono i tessuti già infiammati.
Si può assumere in grani o in estrazione a secco, una capsula da 300 mg circa. Nella medicina Ayurvedica, viene utilizzato per il corretto funzionamento della mucosa intestinale.
Erodoto racconta che mirra e incenso fossero protetti da mostruosi serpenti. L’incenso, da sempre è stato considerato mezzo primario per mettere in comunicazione l’uomo con il divino. Teofrasto scrive che “L’incenso, la mirra, la cassia ed anche il cinnamomo [la cannella] si trovano nella penisola arabica, nei regni di Saba, Hadramyta, Kitibaina e Mamali [le regioni dell’Arabia meridionale, dallo Yemen all’Oman]. Gli alberi dell’incenso crescono sia spontaneamente sulle montagne, sia in tenute coltivate alle pendici dei monti. […] L’albero dell’incenso, -così dicono-, non è molto grande, alto circa cinque cubiti [poco meno di 2 metri e mezzo; in realtà però l’albero di incenso può raggiungere anche i 6-7 metri], ma alquanto ricco di fronde; le sue foglie sono simili a quelle del pero, ma più piccole e dal colore verde brillante, come la ruta; la corteccia è del tutto liscia e senza nodi come quella del lauro” [1](Historia Plantarum, IX, 2-3). Da Plinio il Vecchio, sappiamo che solo tremila famiglie della popolazione araba dei Minei potevano accedere per via ereditaria alla raccolta che avveniva nella più assoluta purezza rituale. I raccoglitori, uomini, si astenevano dalle unioni sessuali e dal contatto con i defunti. Il lungo viaggio lungo la penisola araba e pedaggi da pagare durante ben 65 tappe per giungere fino a Petra o Medina facevano salire il prezzo delle resine, secondo Plinio, fino a 668 denari.
Gli olii essenziali di entrambe le resine (mirra e incenso) hanno effetti potenti nella cura delle infiammazioni dei dolori reumatici e affezioni o lesioni della pelle.
Ildegarda consiglia, di mescolare della polvere d’incenso ad un poco di farina, per fare delle pagnottine d’applicare sulle tempie al fine di scacciare emicrania e infiammazioni.
Ecco la ricetta ildegardiana per allontanare la gotta.
“Se una persona soffre di gotta, faccia bollire dell’oro per eliminarne le impurità e poi lo polverizzi.
Prenda quindi un po’ di farina in quantità pari a metà palmo di una mano e la impasti
con l’acqua per ammorbidirla, vi aggiunga la polvere d’oro in quantità pari a una piccolissima moneta e la mangi il mattino presto a digiuno.
Il giorno seguente prepari lo stesso impasto, lo cuocia nel forno per circa dieci minuti, quindi lo mangi nello stesso giorno a stomaco vuoto. Questi pasticcini allontaneranno la gotta per un anno”.
E ancora porre una poltiglia di menta e incenso sull'ombelico, trattenuti con una benda di
canapa, mette in fuga le febbri. La qualità “calda” dell’incenso conforta occhi e cervello.
Ildegarda di Bingen aveva individuato nei pensieri la causa delle malattie e di come questi insediassero il cuore trasportando tossine verso i nostri organi emuntori, fegato, reni, milza, polmoni, ma oggi la scienza conferma che non siamo ancora venuti a capo del fatto se il nostro microbiota, e dunque le mucose intestinali, condizionino il nostro umore o viceversa. Se le mucose infatti si aprono, si sgretolano, si indeboliscono, il passaggio dei virus e dei batteri cattivi insudiciano il nostro sistema metabolico e neuroendocrino.
La modulazione dunque del microbioma viene compromessa dall'uso dei pesticidi e del glisofato nella cerealicoltura intensiva ma anche dal rumore che compromette l’integrità endoteliale dell’intestino e del cervello alternando l’integrità dei neurotrasmettitori e mediatori dell’infiammazione. Sembrerebbe che anche il nostro personale profumo dipenda dalla salute del microbioma.
(Maria Maddalena di Giovanni Bellini)
L'incenso induce anche all'introspezione e al raccoglimento per via dei sesquiterpeni che incidendo sull'ipotalamo influenzano il sistema nervoso centrale.
Un sistema che risente anche del caos e del silenzio.
Un sistema fortemente correlato al nostro microbioma l’universo batterico dalla cui convivenza dipende la nostra salute e pare anche la nostra felicità.
Cristina Campo scrive che “L’incenso è inesprimibilmente misterioso. Esso è insieme preghiera e qualcosa di più fine, più acuto della preghiera. Compone l’aroma dell’eros con quello della rinuncia, è resa di grazie ed è, come il nardo, alcunché di soavemente ferale”.[1]
Ecco perché amo lasciare infusa la rosa nella macerazione d'incenso e vaniglia. Lasciare scomporre e ricomporre perché il nostra aroma arrivi all'altro come preghiera.
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