(Amaro incipit di una biografia distopica)
Ernesto Valdero chiuse gli occhi per poter tornare a rivedere meglio. Come un ratto che rovista tra i rifiuti o a volo d’angelo e di rondine smistava le immagini salvifiche per cui valeva la pena aver vissuto tanta vita. Dall’alto faceva meno male, vedersi rappreso nel fagotto dei ricordi scialbi. Dopo il grande black out aveva perso ogni traccia del suo passato. Che adesso,percepiva nettamente spezzato in due da una lama impietosa e aguzza. Ecco la sua lunga giovinezza, accanto a Carla che non desiderò più dopo averla issata sull’altare della devozione e poi, le altre, quelle del catalogo. Il loro rutilante sibilo di sirena ancora gli sussultava dentro. Un fastidioso suono che lo aveva reso sordo e cieco verso ogni genere di desiderio. Era stato godurioso e sfibrante conoscere tutti quei corpi così diversi e simili. Oltre ogni anfratto da scoprire rimaneva sempre una porta chiusa. Lì, venivano murati vivi i sentimenti di entrambi. La morte, la noia, la discesa, l’attesa erano piccoli cadaveri nascosti dalla stirpe mafiosa, che aveva abbindolato le menti per oltre un secolo. Ed ora nella vecchiezza, vedeva il grande inganno e il grande torto. Gli parve di annusare un odore familiare, quello di Carla la prima notte di nozze. Ma la sua coscienza allora era ancora forgiata dai residui dolciastri dell’infanzia. Solo adesso sapeva che l’unico destino del farsi uomo, d’assalto e da fortezza, sarebbe stato quello di restare. In un corpo per fecondare o accanto all’anima per ritornare. F.Serra. (Ritratto di uomo. Anonimo del 900)
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