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Storia della bambina salvata


Ho appena terminato di leggere il quarto libro della tetralogia de "L'amica geniale di Elena" Ferrante.

Ho impiegato neppure due giorni nella lettura, ed è vero che la Ferrante ti travolge e che non vediamo l'ora di andare avanti ed avanti, per seguire la vita di Lenù e Lila, le due bambine, adolescenti e donne che rimarranno legate per sempre nel loro rapporto simbiotico di amore e odio. La mia identificazione con la protagonista é fortissima, e in lei rivedo tutte le mie bassezze, le mie dipendenze con cui ho fatto i conti nella mia umile esistenza.

Anch'io ho usato l'intelligenza e la cultura per avere il mio piccolo riscatto sociale, ho vinto un concorso in Rai senza alcuna raccomandazione e ho preso due lauree e scritto libri, senza la fortuna della Ferrante a cui di certo non intendo paragonarmi nel talento.

Perché è vero i suoi sono testi dalla scrittura travolgente e poderosa.

Raccontano la nostra storia, il mondo cruento e feroce descritto da Pasolini che io ho ben conosciuto nella mia infanzia.

Tuttavia ora in quiete nel mio giardino mentre sorseggio il té sotto il gelsomino mi domando perché nella vita di Lenù e Lila nessun fenomeno del sacro sia sia manifestato. Tentano entrambe di cavalcare la vita e la morte è vero con un desiderio indomabile, ma sempre dipendente. Mi pare che nella storia di entrambe l'amore si presenti sotto forma di ossessione, ansia di distruzione e di controllo. Forse tutta la nostra generazione s'identifica in questi aspetti, perché se è vero che il livello culturale delle donne si sia innalzato negli ultimi trent'anni è anche vero che da quel mondo piccolo borghese o basso proletariato tutte proveniamo. Lì dove non ci sono stati gli espedienti e la malavita, c'è stata la malasorte dell'imborghesimento che di danni ne ha fatti anche peggiori rispetto al primo status.

Mi chiedo e lo faccio solo per me intendo, cosa sarebbe stata la mia esperienza su questa terra senza il varco della Luce, senza la possibilità di riscattare la mia anima fatta a pezzi dalle dipendenze e dalla bramosia del benessere economico. L'ho sperimentato durante la quarantena del Covid cosa significhi rimanere nel Tutto quando non c'è più niente. E cosa rimane? La Natura, forse possiamo anche chiamarla Dio o Sacro Ascendente.

In questa vita tutta orizzontale narrata e dico magistralmente dalla Ferrante, dove sta la salvezza? Nella scrittura fine a se stessa? Nel bisogno di essere continuamente riconosciuti e amati? Forse Lila sceglie la parte migliore, scomparire.

Giacché alla fine il dissolvimento sarà la nostra cura migliore. Il deposito irriverente degli amori sprecati nella ricerca dell'asservimento. Di un corpo, quello femminile che deve mantenere alti standard di perfezione per essere accolto e amato.

Queste le mie riflessioni a caldo.

Vedo che le donne tornano nelle loro cucine per trasformare e tornano agli antichi riti per pregare e domano la forza della Natura che è in loro scavalcando la ferocia genealogica del tramando genetico, nella logica gentile della consapevolezza, nel lento lavorio di ricucitura delle proprie ferite e concorrono al Bene del Mondo immaginandolo Nuovo e tondo.

Ciclico come l'acqua di sorgente in cui tornano a bagnarsi, cospargendosi di fiori e balsami lenitivi. Quanto vorrei che fosse così anche per tutte le Lila e Lenù del mondo, in cui le bambole, quelle che aprono e chiudono la storia sussurrano le parole oranti di una vita altra, più densa, eterna, dolce e lussureggiante dove nessuno verrà più lasciato nel buio di una cantina oscura.



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